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Ponte sullo Stretto: l’eterno dilemma tra sogno e priorità
03/11/2025Stretto di Messina: l’eterno dilemma tra sogno ingegneristico e priorità logistiche
Per la Rubrica Il Punto di Vista, Angelo Parisi spiega, con una dettagliata disamina anche ingegneristica, perché il Ponte sullo stretto è osteggiato da tanti e colleziona giudizi negativi da parte delle autorità
di Angelo Parisi
La storia del collegamento stabile tra la Sicilia e la penisola italiana è una narrazione complessa, sospesa tra l’ambizione ingegneristica e la dura realtà delle sfide economiche, ambientali e logistiche. Da oltre un secolo, il dibattito sul Ponte sullo Stretto di Messina non è solo una questione infrastrutturale, ma un indicatore profondo delle priorità strategiche del Paese. La Sicilia, nel suo status di isola, ha sempre scontato un deficit di accessibilità che ne condiziona l’integrazione piena e fluida con la penisola italiana e con i corridoi economici e logistici dell’Unione Europea. La necessità di un collegamento permanente è, prima di tutto, un imperativo di continuità territoriale, essenziale per superare la barriera naturale che interrompe bruscamente il flusso di merci e passeggeri.
Le rotaie: un’opportunità ancora preclusa alla Sicilia
Il nodo cruciale risiede nel settore ferroviario. Inserire la Sicilia nei corridoi TEN‑T (Trans-European Transport Networks) è un obiettivo strategico europeo, ma la sua realizzazione è vanificata dal lento e dispendioso sistema di trasbordo dei vagoni sui traghetti, una procedura che annulla i benefici di velocità e di efficienza logistica garantiti dai moderni sistemi ferroviari, sia per l’Alta Velocità (AV) che per l’Alta Capacità (AC). Per l’industria siciliana, la possibilità di spedire i propri prodotti direttamente in Europa su rotaia, senza soluzione di continuità e con un notevole abbattimento dei tempi di movimentazione, rappresenta un’opportunità di competitività a lungo attesa. Per questo, la Sicilia ha bisogno di sentirsi pienamente parte della rete transeuropea, un obiettivo che unisce la necessità di coesione interna a quella di integrazione esterna.
Il Ponte: un’opera unica che è una vera sfida
Il progetto del Ponte di Messina, nella sua configurazione dominante, è concepito come un’opera senza precedenti: un ponte sospeso a campata unica destinato a coprire una distanza di oltre 3,3 chilometri. La sua realizzazione non sarebbe solo un’impresa di ingegneria civile, ma anche un esperimento strutturale. Un elemento di forte criticità tecnica, spesso sottovalutato nel dibattito pubblico, è infatti la natura mista dell’infrastruttura. Non esistono al mondo ponti sospesi, e men che meno a campata unica di queste dimensioni, che ospitino simultaneamente traffico ferroviario e stradale. Questa scelta progettuale impone sfide tecniche di complessità esponenziale. I treni, in particolare quelli pesanti e ad alta velocità, sottopongono la struttura a carichi dinamici estremamente variabili e concentrati.
Treni, terremoti, correnti marine: i punti interrogativi sono tanti
Quando un treno si muove sulla campata, provoca fenomeni complessi di risonanza e oscillazione che interagiscono con la struttura del ponte. In un ponte sospeso, la cui flessibilità è intrinseca al design, combinare carichi stradali (distribuiti e relativamente costanti) con carichi ferroviari (dinamici, concentrati e caratterizzati da forti vibrazioni) complica enormemente la gestione della fatica strutturale e della stabilità aerodinamica. A queste complessità uniche si aggiungono le sfide ambientali e geologiche proprie del sito. L’area dello Stretto di Messina è nota per essere ad altissimo rischio sismico e tettonico, situata lungo una faglia attiva. Il ponte dovrebbe essere progettato per resistere non solo a terremoti di magnitudo superiore a 7,0, ma anche a forti venti e alle complesse correnti marine note sin dall’antichità (Scilla e Cariddi), che complicano le operazioni di fondazione e di costruzione.
Traffico marittimo: il Ponte, per altezza, sarà off limit per le navi più moderne
Un altro aspetto tecnico-operativo fondamentale, che interseca direttamente l’economia globale dei trasporti, riguarda il traffico marittimo. Lo Stretto di Messina è un corridoio marittimo vitale nel Mediterraneo, essenziale per le rotte che collegano il Canale di Suez ai porti del Tirreno e al resto d’Europa. Il progetto impone un limite all’altezza libera (air draft) dal livello del mare nella campata centrale. La tendenza globale nella cantieristica navale è la costruzione di navi sempre più grandi. Le navi portacontainer Ultra Large (ULCS) di ultima generazione e le grandi navi da crociera presentano altezze che, in piena navigazione e a pieno carico, si avvicinano o, in alcuni casi, superano i 65 metri. Il progetto del ponte ha previsto un’altezza libera di 65 metri. Qualsiasi restrizione o incertezza su questa altezza, o l’impossibilità di superare un limite massimo, pone un rischio concreto: che le navi più moderne e di maggiori dimensioni non possano più transitare in sicurezza attraverso lo Stretto.
72 o 65? Come cambia l’altezza del Ponte vuoto o a pieno carico?
Spieghiamo meglio per i non addetti ai lavori: le presentazioni del progetto indicano 72 metri di ‘altezza navigabile’ sotto al ponte e allora perché si fa riferimento ai 65 metri di ‘altezza libera’?
I 72 metri rappresentano la distanza verticale tra il livello medio del mare e il punto più basso della struttura del ponte al centro della campata, in assenza di traffico ferroviario e stradale intenso. In pratica, è l’altezza che l’impalcato raggiunge quando non è sottoposto al massimo carico previsto. Questa altezza non si può prendere realmente in considerazione mai perché è una casistica che non si presenta mai, essendo il ponte sempre percorso da mezzi in movimento.
I 65 metri rappresentano il tirante d’aria (air draft) minimo garantito o “franco navigabile” in presenza delle massime condizioni di carico previste, ovvero il pieno carico delle corsie stradali e due treni passeggeri in transito contemporaneamente.
Questa è l’altezza critica e più restrittiva che viene considerata per garantire il transito sicuro delle navi di grandi dimensioni, in particolare delle grandi navi porta container e navi da crociera, che hanno un elevato tirante d’aria (l’altezza verticale dal galleggiamento alla parte più alta della nave, come alberi o fumaioli).
Il concetto è che l’impalcato del ponte, essendo sospeso, flette e si abbassa leggermente sotto il peso del massimo carico di traffico (stradale e ferroviario). Di conseguenza, il franco navigabile si riduce, passando da 72 metri a un minimo di 65 metri (o 70 metri con pieno carico stradale, ma senza treni).
Chi ci guadagnerà e perderà dal cambio di rotta?
L’impatto di una simile restrizione sarebbe duplice e severo: le navi escluse sarebbero costrette a circumnavigare la Sicilia, allungando significativamente le rotte e aumentando i costi operativi e l’inquinamento, con una conseguente penalizzazione di tutti i porti italiani che dipendono da quel flusso. Gioia Tauro, hub di transhipment vitale, vedrebbe diminuire l’afflusso delle navi madri. Analogamente, i porti del Nord Italia come Genova subirebbero un rallentamento nei flussi marittimi. In questo scenario, l’alternativa più immediata sarebbe il dirottamento verso porti europei con vie di accesso garantite e connessioni logistiche continentali efficienti. In questo contesto, il porto di Marsiglia (Fos-sur-Mer) emerge come il concorrente diretto che, potendo offrire ampie capacità e collegamenti diretti con la Francia e il resto d’Europa, potrebbe beneficiare del dirottamento dei traffici che storicamente transitavano dalle coste italiane.
I collegamenti ferroviari interni alla Sicilia: un gap ancora abissale
Anche il dibattito sui costi e sulla realizzabilità del Ponte impone una riflessione cruciale: la priorità infrastrutturaledella Sicilia. L’Isola sconta, in primo luogo, un profondo e diffuso gap infrastrutturale interno. Gran parte della sua rete ferroviaria interna, infatti, è ancora caratterizzata da binario unico e velocità di percorrenza obsolete, limitando di fatto la mobilità tra le province siciliane. Questo isolamento interno frena la coesione regionale e la capacità dell’Isola di funzionare come un sistema economico integrato. Molti analisti sostengono che sarebbe strategicamente più prudente concentrare le risorse pubbliche sull’obiettivo di collegare efficacemente i Siciliani tra loro prima di focalizzare un investimento così imponente sull’attraversamento. Un treno ad Alta Capacità che attraversi un ponte ultramoderno per poi doversi muovere su una rete interna lenta, congestionata e obsoleta annulla gran parte del beneficio derivante dall’opera di attraversamento. La funzionalità del Ponte dipende in gran parte dall’efficienza dei sistemi di raccordo e delle linee principali siciliane, che necessitano di un completo rinnovamento. I costi stimati per la realizzazione del Ponte si aggirano attorno ai 13,5 miliardi di euro, una cifra che, per la sua entità, richiede una ponderazione attenta.
Con metà dei soldi del Ponte si porterebbe una linea ferroviaria adeguata al resto d’Italia e d’Europa anche in Sicilia
È fondamentale considerare che, contestualmente, la Sicilia è già oggetto di un vasto piano di ammodernamento e potenziamento delle reti viarie e ferroviarie, gestito da RFI e Anas, il cui valore complessivo supera i 6 miliardi di euro. Questi interventi, tra gli altri, stanno portando all’elettrificazione, al raddoppio di tratte strategiche (in particolare sull’asse Messina-Catania-Palermo) e al miglioramento delle connessioni interne, gettando le basi per una vera Alta Capacità sull’Isola. Questo dato economico solleva un interrogativo: se con 6 miliardi di euro si sta già procedendo a un profondo e necessario rinnovamento della mobilità interna, con metà dei 13,5 miliardi stimati per la realizzazione del ponte si potrebbe finanziare un’ulteriore e più completa ondata di investimenti capillari. Tali risorse, indirizzate al completamento della rete a doppio binario, all’elettrificazione delle tratte secondarie e al miglioramento della viabilità interna, avrebbero il potenziale per generare un impatto socio-economico più equo, diffuso e immediato sulla vita e sull’economia di tutte le province siciliane.
Il Ponte riduce i tempi di percorrenza?
Un ultimo fattore di criticità risiede nell’analisi dei flussi di passeggeri e nelle dinamiche del mercato dei trasporti. Sebbene il treno mantenga la sua centralità per il trasporto merci, il collegamento a lunga distanza tra la Sicilia e il resto d’Italia dei passeggeri è ormai dominato dal trasporto aereo. L’efficienza temporale dell’aereo, che riduce il viaggio tra la Sicilia e il Nord Italia a poche ore (incluso il tempo di check-in), è difficilmente eguagliabile dal sistema ferroviario. Anche con un Ponte e con treni ad alta velocità operativi, il tempo di percorrenza da una città interna siciliana a destinazioni come Roma o Milano rimarrebbe comunque un viaggio di molte ore, penalizzato dalle distanze intrinseche e dalla necessità di attraversare l’intera penisola.
Un’utilità marginale rispetto al costo enorme e ai rischi
Il rischio è che un’opera infrastrutturale di soli tre chilometri, per quanto maestosa, non sia sufficiente a invertire la tendenza e a spostare sui binari la massa di passeggeri ormai fidelizzata all’aereo, soprattutto se si considerano i costi. È improbabile che le tariffe del treno ad alta velocità, pur con l’eliminazione del trasbordo, riescano a competere con i prezzi estremamente aggressivi delle compagnie aeree low cost. Per i passeggeri, l’utilità del Ponte rischia quindi di rimanere marginale rispetto al suo enorme costo, spostando il fulcro della sua giustificazione economica quasi esclusivamente sull’efficientamento della logistica delle merci e sull’indiscutibile valore simbolico e di principio della continuità territoriale.

Mi chiamo Angelo Parisi, sono nato a Leonforte (EN) e faccio l’ingegnere di professione. Fino al 30 maggio 2023 ho rivestito il ruolo di assessore comunale a Pantelleria.
La mia specializzazione sono le tematiche ambientali, soprattutto le energie rinnovabili. Sono sicuro che nel futuro prossimo, tutta l’energia di cui avremo bisogno sarà prodotta grazie al sole, al vento, al mare e al calore della terra e che l’uomo potrà solo rallentare questo traguardo.
Nella mia attività professionale cerco di coniugare lo sviluppo tecnologico con la sostenibilità cercando di dimostrare ai committenti che un euro speso oggi si trasformerà in cento euro risparmiati nel corso della vita dell’opera.
Ritengo che Pantelleria sia il luogo ideale dove mettere in pratica le mie idee e con questa collaborazione cercherò di raccontare i semini che ogni giorno pianterò per rendere l’isola energeticamente autosufficiente.

