Pantelleria: un furto a Campobello e l’isola non è più la stessa?

Pantelleria: un furto a Campobello e l’isola non è più la stessa?

22/06/2025 1 Di Lucia Boldi

Pantelleria: un furto a Campobello e l’isola non è più la stessa?

di Lucia Boldi

Ieri, a Pan­tel­le­ria, un ami­co ha subi­to un furto.
Han­no rot­to il vetro del­la sua pic­co­la 600 a noleg­gio — una feri­ta net­ta nel silen­zio cal­do di mez­zo­gior­no — e si sono por­ta­ti via due zai­ni. Den­tro, un oro­lo­gio impor­tan­te: uno Zenit El Pri­me­ro, qua­dran­te nero, edi­zio­ne limi­ta­ta. E un por­ta­fo­glio pie­no, trop­po pieno.

È acca­du­to a Cam­po­bel­lo, il mio mare da innu­me­re­vo­li estati.
Il mio appro­do quotidiano.
Il mio rito.

In una comu­ni­tà dove ci si rico­no­sce dal pas­so, dal­la voce, dal­le mani, que­sto gesto è un’ombra lunga.
Un col­po sor­do al respi­ro del­la fiducia.
Un rumo­re sto­na­to nel­la musi­ca anti­ca dell’isola.

Io, qui, non por­to anelli.
Esco con ven­ti euro nel bor­sel­li­no, una t‑shirt slab­bra­ta e l’elastico nei capelli.
Per­ché Pan­tel­le­ria, per me, è natu­ra, non sovrastruttura.
È essen­za, non apparenza.

E allo­ra mi chie­do: che cosa sta cambiando?

For­se anche qui, nel luo­go dove il ven­to asciu­ga i pen­sie­ri e la pie­tra con­ser­va le voci dei non­ni, il mon­do si sta infi­lan­do nel­le crepe.
Un mon­do di biso­gni affret­ta­ti, di cose che bril­la­no più del­le paro­le, di mani che pren­do­no sen­za sape­re cosa toccano.

Ma Pan­tel­le­ria non è un posto qualsiasi.
È un’isola nera che bru­cia d’identità, che non si lascia indos­sa­re sen­za cuo­re, che ti osser­va men­tre la vivi e, silen­zio­sa­men­te, ti valuta.

Chi ruba qui, non pren­de sol­tan­to uno zaino.
Ruba anche il silenzio.
Ruba la tra­spa­ren­za dell’incontro casuale.
Ruba l’invisibile filo che ci tie­ne — for­se anco­ra — uniti.

Eppu­re non voglio smet­te­re di cre­de­re che que­sto sia sta­to un erro­re, non un segno.
Un inciam­po. Non una strada.
Per­ché l’isola, quan­do vuo­le, sa ricor­dar­ci chi siamo.
E resti­tui­re ciò che è sta­to preso.


Foto di Tom­ma­so Brignone